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Quando ti consideri anziano? Come è cambiata nel tempo la percezione dell'età

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diCesare Peccarisi 

Uno studio tedesco indica come negli ultimi anni l'età in cui si invecchia è stata ritardata a causa del miglioramento della qualità e dell'aspettativa di vita

Se siete fra gli ultimi boomers, la generazione dei nati fra la seconda metà degli anni '40 e degli anni '70 e oggi avete fra 60 e 74 anni cosa rispondereste se vi chiedessero: «A che età ti considererai anziano?»Ve lo dice uno studio dei ricercatori delle Università di Berlino, del Lussemburgo e della Stanford University degli Stati Uniti diretti da Wettstein Markus appena pubblicato su Psychology and Aging e condotto per 12 anni su oltre 14mila persone ricavate dal database del German Centre of Gerontology.

Lo studio riguarda il cosiddetto ageismo, cioè l'idea di invecchiamento legata alla velocità con cui l'individuo sente di invecchiare e che a volte genera ansia e depressione. Questi due sentimenti negativi non si osservano però in chi ha una buona autostima e ha acquisito quello che la moderna psicologia chiama significato della vita, cioè la capacità di dare uno scopo alla propria esistenza.

Come cambia l'idea di vecchiaia

Nei boomers l'idea di vecchiaia percepita si attesta attorno ai 74 anni, ma le scoperte della ricerca vanno oltre. Se la stessa domanda viene posta a 65enni di generazioni precedenti la risposta cambia: chi ad esempio è nato nel 1911 a quell'età risponde che si sentirà anziano a 71 anni. E se lo richiedete ai boomers quando hanno raggiunto 74 anni rispondono che si sentiranno vecchi a 77. In media, l'inizio percepito della vecchiaia aumenta di circa un anno per ogni 4/5 di invecchiamento reale.

I fattori che posticipano la vecchiaia percepita

Questo trend non sembra essere lineare e sta rallentando negli ultimi anni dopo aver avuto un clamoroso arresto durante la pandemia da COVID quando la sensazione di soggetti a rischio degli anziani li ha spinti a un atteggiamento meno favorevole nella percezione del proprio invecchiamento, che è decaduta di 5 volte dal 2017 al 2020.

Ma a parte questo particolare triennio la posticipazione della vecchiaia percepita è legata a vari fattori: innanzitutto l'aumento dell'aspettativa media di vita da una parte e il miglioramento generale della salute dall'altra hanno fatto sì che chi un tempo era visto come anziano, oggi non lo sia più considerato. Entrano in gioco anche l'aumento dell'età pensionabile e il migliorato funzionamento psicosociale dopo averla raggiunta ed essersi ritirati dal mondo del lavoro. Esiste anche una percezione di genere della vecchiaia: in media le donne la spostano di 2 anni in avanti rispetto agli uomini e tale differenza è andata crescendo negli anni per cui le boomers si sentono vecchie ben più tardi delle loro mamme alla loro età.

La sensazione di solitudine

Un altro fattore è la sensazione di solitudine: chi è più solo si sente anziano prima. A volte anche solo un animale di compagnia aiuta: secondo lo Human Animal Bond Research Institute attenua la solitudine dell'85%degli anziani americani single con un cane o un gatto.

Anche i social network possono servire ma, come avverte uno studio della California University, nell'anziano possono esacerbare i suoi timori per le malattie croniche che spesso l'accompagnano e di cui non sa leggere criticamente le news che circolano sul web.

Compassione per se stessi

Un altro fattore importante nel ritardare l'idea di vecchiaia è certamente il supporto sociale percepito. L'ha appena detto anche Papa Francesco nell'incontro con nonni e nipoti: gli anziani non vanno lasciati soli, ma fatti vivere in famiglia, in comunità, con l'affetto di tutti. Ciò infatti migliora la loro sensazione di salute e di benessere che poi riverbera positivamente sull'ineludibile capitolo della vita che è la vecchiaia.

Altro fattore da considerare è la cosiddetta autocompassione un concetto sviluppato nel 2003 da Kristin Neff, docente di sviluppo socioculturale all'Università del Texas. Dalla sua prima pubblicazione in questi vent'anni è nato un importante filone di ricerca su quella che si può definire una revisione speculare in chiave psicologica del comandamento evangelico ama gli altri come te stesso. In sostanza l'autocompassione è avere verso sé stessi la stessa gentilezza che abbiamo quando confortiamo i nostri migliori amici in difficoltà o quando li esortiamo a non essere troppo critici verso sé stessi liberandoli dai sensi di colpa per uno sbaglio che pensano di aver commesso. L'anziano gentile con sé stesso invecchia meno.

E non bisogna fraintendere questo atteggiamento come una caratteristica delle persone tenere, buone, accondiscendenti o persino deboli, perché riguarda invece i pompieri, il personale dei servizi aerei o marittimi, i volontari delle onlus marittime o quelli dell'assistenza come medici e infermieri.

Chiunque dà supporto a chi si trova in difficoltà è motivato dalla compassione ed esempi famosi sono stati Gesù, il Mahatma Gandhi o Nelson Mandela: non erano certo deboli, ma, piuttosto, determinati a portare il loro approccio compassionevole nel mondo.

Quindi, se volete invecchiare bene, siate compassionevoli con voi stessi. 

2 maggio 2024

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